In un momento in cui i giudici della Cassazione sembrano aver preso la via che favorisce quasi sempre le ragioni del fisco piuttosto che quelle dei contribuenti, fa clamore una sentenza della Corte Costituzionale in merito alla indeducibilità dell’IMU dal reddito d’impresa, anche se è vero che per salvaguardare il gettito fiscale viene specificato che riguarderebbe solo l’anno 2012. Cerchiamo di capire la questione con un preliminare inquadramento.
L’art.14 del D.Lgs.23/2011 ha sempre negato la deducibilità dell’IMU (in precedenza ICI) dal reddito d’impresa. Nella versione vigente per il 2012, la negava del tutto, anche per gli immobili strumentali (cioè quelli utilizzati per l’attività dell’impresa). Qual era la conseguenza? Facciamo un esempio molto banale e alla portata di chiunque: supponiamo che la PINCOPALLO SRL abbia un utile di 100.000 euro (calcolato partendo dai ricavi e sottraendo tutti i costi); supponiamo che l’aliquota dell’IRES (l’imposta sul reddito delle società) fosse stata sempre il 24% (in realtà nel 2012 era più alta, ma ai fini dell’esempio non ci interessa). Calcolando le imposte avremmo avuto quindi:
- Utile ante imposte = 100.000
- IRES 24% = 24.000
- Utile netto = 76.000
Supponiamo però che in realtà la PINCOPALLO SRL abbia tre stabilimenti industriali in cui produce la merce che vende e quindi è costretta ogni anno a pagare 40.000 euro di IMU al Comune; quindi sappiamo che tra i costi di quella società ci stanno 40.000 euro di IMU. Ebbene, anche se l’utile è pari a 100.000 euro, dal momento che l’IMU è indeducibile dal reddito d’impresa, i 40.000 euro non possono essere considerati come un costo e quindi su quelli va pagata anche l’IRES. In sostanza, compilando la dichiarazione dei redditi, accade questo:
- Utile ante imposte = 100.000
- Variazione in aumento per indeducibilità IMU = 40.000
- Utile su cui calcolare le imposte = 140.000
- IRES 24% = 33.600
- Utile netto = 66.400 (cioè 100.000 – 33.600)
In sostanza la PINCOPALLO SRL ha pagato 9.600 euro in più di IRES, sol perché quella norma ha stabilito che l’IMU non è deducibile.
Va detto che questa indeducibilità nel tempo è stata sempre più mitigata, perché negli anni successivi è stato permesso di dedurre un 20% di IMU, un 30% e così via… ma resta il fatto che per molti anni questa indedubilità (totale o parziale) ha portato al pagamento di una imposta su un reddito in realtà fittizio.
LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Ebbene, secondo i giudici della Corte Costituzionale, l’IMU sugli immobili strumentali “è un costo fiscale inerente di cui non si può precludere, senza compromettere la coerenza del disegno impositivo, la deducibilità una volta che il legislatore abbia, nella propria discrezonalità, stabilito per il reddito d’impresa un criterio di tassazione al netto“.
Sulla base di questa sentenza pertanto questa indeducibilità crea una violazione di una serie di articoli della costituzione:
- l’art.53 sotto il profilo della capacità contributiva e per il divieto di doppia imposizione, in quanto si pagano imposte due volte sulla base di un unico presupposto, dato dal possesso dei fabbricati;
- gli articoli 3 e 53 per il principio di ragionevolezza;
- l’art.3 per il principio di uguaglianza formale, perché effettivamente una impresa che (a parità di altre condizioni) ha molti immobili di proprietà, si trova svantaggiata rispetto ai concorrenti;
- l’art.41 per la libertà di iniziativa economica privata, in quanto viene penalizzata l’impresa che decide di investire gli utili nell’acquisto di immobili strumentali.
E’ vero che la Corte ha escluso di estendere questa illegittimità alle disposizioni che negli anni successivi hanno via via mitigato questa indeducibilità (al punto che dal 2022 sarà prevista la totale deducibilità), ma è pur vero che il ragionamento vale e può estendersi anche agli anni successivi.
Insomma, l’IMU costituisce un costo, è un costo inerente (nel caso di beni strumentali) e le disposizioni che stabiliscono l’indeducibilità contrastano con i princìpi di uguaglianza e di capacità contributiva.
IN PRATICA
E’ possibile percorrere due vie:
- da un lato, richiedere a rimborso l’IRES illegittimamente versata sul 2012 (in quanto non c’è alcun dubbio che per il 2012 sia illegittima), anche se sono passati oltre 48 mesi dal versamento, sulla base di un ragionamento per il quale il termine per il rimborso parte dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione (e quindi dal giorno in cui è stata pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale);
- dall’altro lato, richiedere a rimborso l’IRES illegittimamente versata negli anni successivi, nei quali è stata comunque concessa una deducibilità limitata e per i quali non sono passati 48 mesi dalla data di versamento.
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