Nella folle corsa verso la lotta all’evasione attuata dall’attuale governo, i metodi scelti non sono forse i migliori: piuttosto che migliorare i controlli per stanare gli evasori, vengono inserite norme che appesantiscono l’intero sistema e gravano terribilmente anche sulle imprese gestite in maniera assolutamente onesta.
Parliamo delle novità sulle ritenute nei contratti di appalto, introdotte dall’art.4 del DL 124/2019 (“Collegato fiscale”) che impongono a tutte le imprese appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici degli adempimenti molto gravosi e soprattutto crisi di liquidità.
Nella sua prima stesura, il decreto prevedeva l’obbligo del versamento delle ritenute dei dipendenti delle imprese appaltatrici, direttamente da parte dei soggetti appaltanti! E non solo: l’importo di tale ritenute andrebbe messo a disposizione del committente con almeno 5 giorni lavorativi di anticipo rispetto alla scadenza, su uno specifico conto corrente, comunicato dal committente alle imprese appaltatrici. E quindi già accorciamo le scadenze, perché vuol dire che già entro giorno 11 di ogni mese, le appaltatrici devono provvedere al versamento. Ma giusto per appesantire un po’ più gli adempimenti, oltre a detto versamento va comunicato un elenco nominativo dei lavoratori impiegati nel cantiere, delle ore lavorate, delle retribuzioni, etc. Sic!
Dopo una pioggia di critiche si è provato a correre ai ripari con degli emendamenti. L’art.4 è stato riscritto dalle Camere e intanto è stato previsto che la norma sarà applicata solo ai contratti di importo superiore a 200.000 euro. E’ stato eliminato il perverso meccanismo del versamento su un conto corrente dedicato, ma le imprese appaltatrici dovranno certificare l’avvenuto versamento delle ritenute. Il vero problema si porrà se questi versamenti dovranno essere eseguiti senza possibilità di compensazione: le modifiche sono ancora insoddisfacenti e il rischio per molte imprese edili è quello di non poter recuperare consistenti crediti iva (fisiologici, a causa del meccanismo dello split payment) tramite l’istituto della compensazione.
Resteranno fuori da queste diavolerie le cosiddette “imprese virtuose”, cioè quelle in attività da almeno 3 anni, senza iscrizioni a ruolo o accertamenti in corso, in regola con gli obblighi dichiarativi e che abbiano eseguiti versamenti nel conto fiscale per almeno il 10% dei ricavi o compensi risultanti da queste dichiarazioni. Il problema è che non è chiaro se vanno verificati versamenti effettivi (con uscita di denaro) o se si possono considerare anche i versamenti eseguiti tramite compensazione, cioè la quasi totalità di quelli effettuati dalle imprese edili che non incassano più iva (a causa dello split payment) e che almeno utilizzano l’iva a credito (cioè quella pagata ai fornitori) in compensazione. Gli amanti degli enigmi hanno trovato pane per i loro denti.